tradizione e fede

Riti e rappresentazioni sacre: la Pasqua sarda tra fede, storia e partecipazione Da S’Incravamentu a s’Incontru: la Settimana Santa in Sardegna è ricca di cerimonie suggestive, che uniscono liturgia e dramma popolare.

Il tradizionale rito de Su Scravamentu in Cattedrale

La Sardegna, che nel suo storico isolamento ha sviluppato un particolare conservatorismo di usi e tradizioni talora antichissime, si caratterizza per una serie di riti paraliturgici di accompagno alle celebrazioni della Settimana Santa le cui origini, in qualche caso, sembrerebbe risalire fino al medioevo.

L’uso di spettacolarizzare e rendere attuali, con vere e proprie rievocazioni storiche più o meno accurate, gli eventi della passione, morte e resurrezione di Gesù, rimonta ai primi secoli del cristianesimo, quando esse già connotavano la liturgia pasquale della Chiesa di Gerusalemme.

Arrivati in Occidente con i racconti dei pellegrini, alcuni di questi embrionali drammi sacri sono entrati a far parte della liturgia ufficiale, come la processione della Domenica delle Palme o la lavanda dei piedi il Giovedì Santo. La più proficua, in termini drammatici, fu tuttavia la consuetudine di proclamare a più voci il racconto evangelico della Passione, il Venerdì Santo, distinguendo nella lettura i ruoli dello storico, di Gesù e del “popolo”.

Il sentirsi coinvolti come attori diretti in questi riti, nei fedeli, che in questo modo potevano interiorizzare più profondamente il mistero della redenzione, portò ben preso alla messa in scena di sacre rappresentazioni ispirate agli eventi del Triduo pasquale. In particolare, utilizzando un simulacro a grandezza naturale dotato di braccia snodabili, si prese a rievocare la crocifissione, morte e deposizione di Gesù, con suggestive e toccanti cerimonie note come Incravamentu e Scravamentu. Tuttora diffuse pressoché in ogni parrocchia dell’isola, esse prevedono l’inchiodamento di questo simulacro alla croce, il suo innalzamento sull’altare maggiore delle chiese e, dopo un certo lasso di tempo, corrispondente alle ore dell’agonia, il suo schiodamento e la deposizione in una lettiga processionale, simboleggiante il sepolcro.

Una volta molto praticata, quantomeno nelle parrocchie più popolose e ricche, era anche la processione dei Misteri. Nata in Terrasanta nel tardo medioevo, consisteva nel ripercorrere i sette principali tragitti compiuti da Gesù nel corso della sua passione, dall’orto del Getzemani fino al Calvario, visivamente rievocati da altrettanti simulacri o gruppi statuari chiamati per l’appunto Misteri.

Su un racconto dei Vangeli apocrifi si basa invece la celebrazione di s’Incontru, vale a dire il ritrovarsi di Maria e Gesù dopo la resurrezione. Due statue apposite, la mattina della Domenica di Pasqua, percorrono itinerari opposti, lungo le strade di tutte le parrocchie della Sardegna, per poi incontrarsi, con grande gioia, in un punto stabilito, dove si salutano a vicenda inchinandosi tre volte. Di qui, affiancate, si avviano poi in chiesa, per la celebrazione della messa solenne.

S’Incontru, in segno di giubilo, viene accompagnato da salve di fucileria o da batterie pirotecniche, che si sostituiscono alle matraccas (congegni formati da coppie di archetti metallici incernierati a una tavoletta di legno, su cui vengono fatte sbattere ritmicamente) usate nel Venerdì Santo al posto delle campane.

Mauro Dadea
storico e archeologo

Dal Kalaritana Avvenire