Repubblica Democratica del Congo, la crisi senza fine L'avanzata dei ribelli del M23 e il pericolo di una escalation regionale

Un membro del M23 a Bukavu | Foto Vatican News/AFP

Porose, complesse, ricche ma allo stesso tempo povere. Le terre che compongono il lungo confine orientale della Repubblica Democratica del Congo potrebbero essere definite in vari modi. I punti di vista cambiano a seconda degli interessi degli attori: a partire da quelli dei paesi confinanti come Rwanda, Burundi e Uganda, fino a quelli delle potenze internazionali. Allo stesso modo differiscono gli sguardi sul riaccendersi di una crisi che appare senza tempo. L’avanzata nell’ultimo mese del M23, milizia congolese ribelle che secondo le Nazioni Unite sarebbe sostenuta attivamente dal Rwanda, coincisa con il controllo di Goma e Bukavu, le principali città delle regioni del Nord e del Sud Kivu, rappresenta il picco di una tensione che rischia di sfociare in un conflitto allargato a livello regionale.

 Rischi e interessi

«Quella del M23 è un’azione che sta innescando delle ricadute sempre più ampie – ha spiegato ai microfoni di Radio Kalaritana il giornalista del Sole24Ore Alberto Magnani – L’Uganda negli scorsi giorni ha rinforzato la presenza delle sue truppe nella regione, schierandosi in maniera chiara al fianco del Rwanda e contro il governo della Repubblica Democratica del Congo. Nel frattempo, parte delle truppe rwandesi si è spostata verso il confine con il Burundi. Il timore che si sta diffondendo è quello di un conflitto su scala regionale, come si temeva già all’inizio dell’offensiva».

Da gennaio 2025, secondo l’Onu, sono oltre 237mila le persone fuggite dai territori orientali del Paese, che già ospitavano almeno 4,6 milioni di sfollati interni. Cifre che fanno comprendere come l’instabilità della RDC non sia una nuova realtà, ma un continuum di fattori che si mischiano tra loro: dalle difficoltà politiche interne di Kinshasa, con il presidente Tshisekedi come ultimo indiziato in ordine cronologico, fino a ciò che giace nel sottosuolo congolese, dall’oro ai minerali fondamentali per la transizione energetica, passando per l’importanza delle terre coltivabili che portano a conflitti intracomunitari. «Ci sono due punti di caduta principali sovrapposti tra loro – ha continuato Magnani – Il primo è quello storico. La Repubblica Democratica del Congo nei suoi territori orientali ospita diverse milizie, tra cui quelle legate alle etnie hutu e tutsi, coinvolte nel genocidio del 1994 in Rwanda. Il secondo è quello economico: Nord Kivu e Sud Kivu sono conosciute per la straordinaria ricchezza mineraria: cobalto, coltan, manganese e oro che attraggono appetiti economici di diversi stati e che sono la causa principale della proliferazione delle milizie».

Le difficoltà diplomatiche e il ruolo di Kagame 

A preoccupare è anche una diplomazia che arranca di fronte alle tensioni crescenti. I rapporti tra Repubblica Democratica del Congo e Rwanda, soprattutto, sono ridotti al minimo, con l’ultimo incontro tra i rispettivi presidenti – Felix Tshisekedi e Paul Kagame – sotto l’egida dell’Unione Africana saltato lo scorso 29 gennaio. Agli sforzi della massima istituzione continentale, si sono uniti in diversi tempi quelli dell’ONU e delle organizzazioni regionali – la Eastern African Community e la Southern African Development Community – con risultati però influenzati da interessi e diffidenze dei rispettivi attori. Il piano diplomatico appare, tuttavia, l’unica via per una soluzione complessiva di un puzzle difficile da comporre. Con il nuovo presidente della commissione dell’UA, il gibutino Mahmoud Ali Youssouf, che sarà chiamato a dare una svolta all’azione politica. «L’Unione Africana – ha precisato Magnani – in questo momento si sta limitando a rilanciare gli appelli al cessate il fuoco e per una ripresa del processo diplomatico di Luanda, avviato per cercare una risoluzione consensuale del conflitto. I tentativi di far incontrare Tshisekedi e Kagame sono però sempre falliti negli ultimi mesi. Inoltre, il presidente ruandese è stato abile a sfruttare le debolezze diplomatiche della controparte congolese, che ha spesso disertato gli appuntamenti, presentandosi come unica voce autorevole per l’istruzione di una soluzione diplomatica».

La figura di Paul Kagame, al potere dal 1994, quando con il Rwanda Patriotic Front mise fine al genocidio rwandese, è una delle figure più importanti per comprendere il quadro generale. «Kagame negli anni ha saputo tessere una rete di rapporti solidi con i leader occidentali, dall’Unione Europea agli Stati Uniti per ragioni di carattere economico, politico e militare – ha continuato Magnani – Nel 2024, il Rwanda e l’UE hanno firmato un memorandum of understanding sui minerali critici, fondamentali per l’industria europea. Oggi Kagame rappresenta la stabilità e assicura servizi fondamentali per alcuni Paesi, come la Francia che in Mozambico per proteggere i suoi interessi energetici può far affidamento sull’esercito rwandese. Tutto ciò rende Kagame difficilmente criticabile, come invece – conclude Magnani – sarebbe comunque necessario in questa fase».

Clicca sul link per ascoltare l’intervista ad Alberto Magnani su Radio Kalaritana: https://www.radiokalaritana.it/podcast/kalaritana-interviste/

 Matteo Cardia

 

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