Quaresima, il digiuno in famiglia La Quaresima interroga padri, madri e figli sul valore della sobrietà

 

Il digiuno nella vita familiare, diventa un’occasione per vivere con maggiore consapevolezza l’amore e l’essenzialità delle relazioni umane, orientate alla gioia autentica. La riflessione di don Emanuele Meconcelli, direttore della Pastorale della famiglia apparsa su Kalaritana Avvenire del 16 marzo.


«Possono forse digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare» (Mc 2,19). È lo stesso Gesù ad accostare l’ambito familiare a quello del digiuno, per inquadrare questo gesto penitenziale in una prospettiva più ampia rispetto a quella che la circoscrive nel perimetro di un’astinenza riguardante prevalentemente il dominio di sé, l’autocontrollo e la rinuncia

Il focus da ricordare

Il rischio legato all’osservanza semplicemente materiale di una pratica «esterna» è quella di ritenerla sufficiente in sé, quasi fine a se stessa, taumaturgica, creando così una frattura tra l’ambito del religioso e quello della fede. Il Maestro invece vuole sottolineare l’aspetto prioritario della vita nuova che lo Sposo, legato in forza della sua fedeltà a una sposa talvolta «distratta» (immagine cara all’Antico Testamento, che così ci parla del rapporto tra Dio e Israele), è venuto ad instaurare, in cui la salvezza non è un premio riservato ai buoni o agli osservanti zelanti, ma un dono unilaterale. 

Il focus allora non diventa meritare con uno sforzo di auto perfezionamento ciò che già ci è stato donato, ma continuare a vivere una relazione nella quale si è salvati da un Amore che ci viene a cercare, che si fa compagno di strada, che ci guida al compimento del nostro desiderio di salvezza e di felicità. La pratica della sobrietà nella quale il digiuno immette diventa così, alla luce di questo dilatato orizzonte di comprensione, un modo per difendere la consapevolezza della presenza dello Sposo, per tenere desta l’attenzione sull’aspetto prioritario della relazione che si gioca alla Sua presenza, che può però essere offuscata dalla bulimia di appetiti disordinati, che si travestono con gli abiti di un seduttore ingannatore che mima l’atteggiamento nuziale. Il digiuno diventa così la capacità di dire dei no per difendere il sì che rende la vita significativa, perché in quella relazione permette di avere una direzione, una scelta attorno alla quale ci si gioca interamente e profondamente. Restare concentrati, focalizzati sull’essenziale richiede la capacità di dire no a ciò che essenziale non è, per godere appieno il dinamismo che la scelta della parte migliore imprime al dispiegarsi della quotidianità. 

L’occasione

In famiglia il digiuno diventa allora una scuola di sobrietà e di essenzialità, per far brillare l’aspetto prioritario della presenza dello Sposo nella vita domestica, contro una routine che rischia di appiattirla in erogazione di servizi e coordinamento degli impegni, in favore della gioia e della ricchezza di relazioni autenticamente umane perché permeate dall’amore del Signore. La famiglia non è bella o felice se risponde a tutto ciò a cui deve fare fronte, se è un service efficace e funzionale, ma se nel suo modo di porsi davanti alle sfide della quotidianità sa mettere insieme, sa valorizzare il meglio di cui ciascuno è portatore, sa attivare dinamiche di comprensione, accoglienza, misericordia, sacrificio nelle quali si sperimentano le relazioni prima delle cose, i volti prima degli impegni, lo stare insieme prima del soddisfacimento dei bisogni. In quella piena umanità che sa scegliere la relazione prima dei compiti si sperimenta la direzione e il senso della Sua presenza, lo Sposo che rende nuziale e quindi salvato chi a lui tende. 

Don Emanuele Meconcelli – direttore Pastorale della Famiglia (Articolo apparso su Kalaritana Avvenire del 16 marzo)

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