Le dinamiche della politica e dell’economia globale si riflettono sempre più direttamente nella vita quotidiana delle persone. Decisioni prese a migliaia di chilometri di distanza possono avere conseguenze concrete su lavoro, industria e famiglie, ponendo interrogativi sul futuro della cooperazione internazionale. L’articolo di Paolo Alfieri pubblicato su Kalaritana Avvenire del 23 febbraio.
C’è un mondo, là fuori, che viene sempre più di frequente a bussare alle nostre porte. Lo fa, con il sorriso e chiedendo permesso, quando si tratta di portarci quelle novità positive utili alla nostra vita quotidiana, basti pensare ai progressi scaturiti dalla cooperazione scientifica internazionale o ai vantaggi del mercato unico europeo. E lo fa, con insistenza e fare quasi arrogante, quando ci sottopone alle conseguenze di decisioni laceranti che alla nostra vita quotidiana porteranno solo nuovi affanni e grattacapi.
I casi
È successo con la guerra in Ucraina e la crisi energetica, con le nostre bollette del gas impennatesi nel giro di poche settimane a livelli mai visti prima. E sta succedendo con l’annuncio di nuovi dazi sulle importazioni di alcune merci da parte di Donald Trump: Washington e Bruxelles stanno ancora prendendo le misure, ma il rischio di uno scontro commerciale aperto anche tra le due sponde dell’Atlantico è reale e potrebbe riguardare tutti. Prima l’acciaio, poi, magari, le automobili, i prodotti agricoli, le componenti del tech: non c’è settore merceologico che può dirsi del tutto al sicuro. Aumento dei prezzi e dei costi per consumatori e imprese, ricadute su industria, agricoltura e servizi, conseguenze per l’occupazione e, quindi, per le famiglie: uno scontro deciso molto in alto si ripercuoterebbe, a valanga, su ognuno di noi.
Le interconnessioni
Globale e locale, locale e globale: la connessione tra i due livelli è e resta inscindibile. Un’economia globalizzata è un’economia in cui le cosiddette catene del valore operano con la massima efficienza, aggiungendo valore in ogni fase. È un’economia in cui ogni Paese ha ceduto aspetti della propria sovranità in cambio di un accesso al benessere comune prodotto da quelle stesse connessioni. Il ritorno dei protezionismi – così intimamente legato all’impennata di un populismo che sulle rivendicazioni nazionali, non di rado pretestuose e legate a dinamiche di politica interna, gioca le sue fortune – rischia di farci essere tutti più poveri. E non solo economicamente. In Africa e nel Sud globale lo smantellamento dell’agenzia di aiuti Usaid avviato da Trump si sta già traducendo nella chiusura di programmi umanitari e di assistenza. Meno bambini andranno a scuola, meno persone potranno essere curate, meno media indipendenti potranno essere sostenuti. Sono le famose ricadute locali di una dinamica prettamente globale.
Nessun guadagno
Nessuno ha veramente da guadagnarci, da uno scontro commerciale globale. Anche per i produttori domestici l’immediato beneficio di una minore concorrenza straniera si traduce, nel lungo periodo, in un minore incentivo all’efficienza e allo sviluppo. Sui consumatori, poi, si riversa gran parte dell’extra-costo derivante dall’aggravio dei dazi. Le relazioni tra Paesi si deteriorano, la sfida commerciale crea terreno fertile per ulteriori motivi di conflitto. Senza dimenticare gli squilibri che le storture della globalizzazione hanno provocato, è difficile invece ignorare i vantaggi di un approccio cooperativo e multilaterale. E lo sappiamo perché accade lo stesso nelle nostre famiglie o nei nostri rapporti di lavoro, lì dove il globale si affaccia più di quanto non crediamo.
Paolo Alfieri
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