Luigino Bruni: «Il lavoro in Italia non è in buona salute» Tra malessere diffuso e precarietà, l’economista invita a un cambio di rotta per ridare senso al lavoro

In un contesto in cui i numeri sull’occupazione sembrano positivi, l’economista Luigino Bruni, docente alla Lumsa e presidente della Scuola di Economia Civile, mette in luce, in un’intervista rilasciata al Sir, le contraddizioni del mercato del lavoro italiano. Nonostante un aumento degli occupati (+3,6% negli ultimi due anni secondo la Cgia di Mestre), la qualità del lavoro continua a peggiorare, come dimostrano l’aumento del precariato, dei contratti a tempo determinato e la riduzione delle ore lavorate.

«Non tutti i lavori sono dignitosi o sufficienti a garantire il benessere», sottolinea Bruni, evidenziando il malessere crescente dei lavoratori, con dimissioni volontarie, burnout e insoddisfazione per un lavoro spesso privo di senso. «Il lavoro dovrebbe essere fonte di vita, non di alienazione», prosegue.

Le difficoltà colpiscono trasversalmente diverse generazioni: i giovani faticano a inserirsi in un sistema aziendale ancora patriarcale, mentre gli over 50 trovano arduo adattarsi ai rapidi cambiamenti. Questo quadro si lega a bassi salari e a competenze percepite come insufficienti, benché, secondo Bruni, il sistema educativo italiano mantenga standard elevati, formando persone apprezzate a livello internazionale.

Un altro tema chiave è il declino delle grandi imprese storiche come Fiat, un tempo pilastri del tessuto economico-sociale, oggi soggette a logiche finanziarie lontane dal territorio. «Il capitalismo globale basato su rendite e dividendi è insostenibile», avverte Bruni, denunciando la crescente distanza tra i top manager e i lavoratori.

La soluzione? Secondo l’economista, occorre riportare economia e finanza al centro del dibattito pubblico, educando le nuove generazioni e ridando trasparenza alle istituzioni economiche: «Solo così potremo costruire un sistema più equo e sostenibile», conclude Bruni.

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