La prima linea parrocchiale a don Carlo Follesa è sempre piaciuta. Vivere in mezzo alla gente, respirare i problemi e le attese dei giovani, condividere le preoccupazioni dei genitori. Bussare alle porte dei pubblici amministratori per richiamarne l’attenzione sulle periferie dimenticate. In queste situazioni, dai manuali studiati nel seminario di Cuglieri, l’ormai ex parroco di San Massimiliano Kolbe astrae la pastorale della strada, anzi dello sport. Per un algoritmo testato negli anni Cinquanta del secolo scorso, nell’oratorio della chiesa di santa Lucia a Cagliari, dal giovane Carlo promessa sportiva di via Tuveri, seminarista e fresco sacerdote. Il trinomio pallone-oratorio- chiesa funziona quasi sempre. Lo sport richiama i ragazzi, intorno a loro si riuniscono papà e mamma, ne seguono il processo di maturazione e si allarga a scuola, catechesi, liturgia, sacramenti. La comunità ha salutato il suo primo parroco, che dopo 51 anni lascia la parrocchia. Don Carlo era arrivato a Bingia Matta l’11 febbraio 1973 su mandato del cardinale Sebastiano Baggio, in quegli anni arcivescovo di Cagliari. Trasferito dalla nascente chiesa di Santo Stefano a Quartu Sant’Elena per una nuova missione: costituire la terza parrocchia, dopo Sant’Eusebio e SS.Pietro e Paolo, in quel di Is Mirrionis. «Va a pennello per te» dice al giovane sacerdote (33 anni) il porporato, poco prima di rientrare in Vaticano per assumere l’incarico di Prefetto della Congregazione dei Vescovi. «Aveva ragione il cardinale – dice don Carlo. È stata una bella esperienza non solamente sacerdotale, ma anche umana, religiosa, spirituale. Non ci sarà più il tandem parrocchia-comunitàL’Aquilone.
Pedalerò soltanto per la seconda. Mi è sembrato opportuno lasciare – non si possono tenere a 80 anni compiuti due impegni totalizzanti – e dare alla gente della Kolbe la possibilità di iniziare un nuovo cammino ecclesiale con un’altra guida ». «Spero che quanto si è costruito come lavoro pastorale, impianti, attrezzature – si augura don Follesa – non finisca con il nuovo corso, provocando disagio e sofferenza tra la gente, che ha trovato in parrocchia una casa. Ma il nuovo parroco deve sentirsi libero di fare le sue scelte pastorali e i suoi programmi, che possono essere diversi da quelli da me progettati. Il significato della parola parrocchia è proprio quello di chiesa tra le case. Qui a Bingia Matta è stato così».
Nell’ufficio parrocchiale – quasi spoglio di ogni accessorio personale, il nuovo parroco, don Giorgio Franceschini (44 anni), in arrivo da Santa Margherita di Pula – don Carlo svolge il rotolo della memoria, senza nascondere la commozione frammista ai ricordi. Il primo incontro con la realtà di Bingia Matta non poteva che essere all’insegna dello sport. «Entravo nei bar del quartiere – racconta don Follesa – per farmi conoscere dagli uomini. Capto al volo un possibile derby tra lavoratori del porto e operai del mercato ortofrutticolo, chiedo di giocare. Mi mettono la maglia degli addetti al mercato all’ingrosso, vinciamo alla grande».
Dopo quelle sacerdotali, le credenziali del nuovo parroco sono calcistiche. Con Efisio Spettu, Carlo Follesa è stato uno dei migliori calciatori sardi in talare. Fresco di ordinazione si allenava di nascosto (l’arcivescovo Paolo Botto completamente allergico a dribbling e tunnel) col Cagliari di Arturo Silvestri, che lo voleva assistente spirituale della squadra rossoblu.Il carisma sportivo il parroco lo traduce in tornei di calcio tra rappresentative di strada. Gli atleti in erba scelti tra 2000 bambini e ragazzi del catechismo. Come le pallavoliste della Kolbe. Gli amici del Tennis Club Cagliari fanno camminare le opere parrocchiali: tennisti progettista, amministratori comunali e regionali che accelerano i processi burocratici.«La Provvidenza – racconta – è stata sempre vicina, supporto per i 12 anni passati in un scantinato di via Barigadu, per 11 nel salone di via Sulcis e, dal 2000, nella nostra chiesa. Tutto fatto esclusivamente insieme, comunità parrocchiale – cioè, la gente, i fedeli – e l’istituzione-parrocchia». «Inizialmente – aggiunge don Carlo – difficile presentare, nei primi 5 anni, il dovere dell’accoglienza cristiana verso i rom che occupavano l’area dove oggi sorge la chiesa. Neppure semplice tramutare in regola pastorale l’osmosi con la comunità L’Aquilone, il connubio, il sistema integrato tra la parrocchia e i “giovani aquiloni”, che hanno collaborato alla realizzazione di tutte le strutture parrocchiali». «La gente di Bingia Matta – conclude – ha accolto e condiviso con me l’obbligo morale di rispondere positivamente a un disagio sociale che negli anni 80 ha registrato in questa zona le dimensioni più grandi. Una risposta di fede a un problema esistenziale, fede diventata carità operosa, testimonianza evangelica».
Mario Girau
Kalaritana – Avvenire di domenica 6 ottobre 2024
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