Le donne dopo il Covid A cinque anni dal lockdown l’occupazione femminile cresce solo in alcuni settori

 

A cinque anni dal lockdown, l’occupazione femminile in tutta Italia, Sardegna compresa, cresce ma solo in alcuni settori. L’approfondimento a cura della presidente dell’associazione Giulia giornaliste Susi Ronchi apparso sul Kalaritana Avvenire del 9 marzo.


Cinque anni fa. È passato come in un soffio questo tempo che ci divide dall’inizio del lockdown: tutto chiuso, tutti e tutte a casa, era il 9 marzo del 2020, 24 ore dopo la Giornata internazionale della donna, e quasi per un destino predeterminato, la componente femminile ha assunto ruolo di vittima e di protagonista per l’intera fase della pandemia, che ha scavato i confini delle disuguaglianze aumentando le vulnerabilità in ambito sociale, politico ed economico.

Non appena calato il sipario su quella che ancora erroneamente è chiamata la Festa della donna (8 marzo), si è spalancato un mondo nuovo, inaspettato, complesso, tutto è accaduto Un giorno all’improvviso, mutuando il titolo del libro, edito da Giulia Giornaliste Sardegna nel 2022, che raccoglie le testimonianze di 16 donne, al tempo della pandemia da Covid. 

Dalla pandemia alla ripartenza

Non c’è alcun dubbio che le donne abbiano avuto un ruolo centrale nel contrasto alla pandemia, pilastri delle famiglie e delle comunità, in prima linea per prendersi cura, sensibilizzare, prevenire, curare, fornire mezzi di sussistenza, vittime di un’economia rallentata, vittime dei tagli sul lavoro, vittime di una gestione complessa di casa e famiglia, vittime della persistenza di pregiudizi e discriminazioni che il lockdown ha accentuato, ma contestualmente protagoniste nel periodo più duro e nella ripresa. La ripartenza a guida femminile si può definire un’azione rivoluzionaria, perché mira ad agire sulle resistenze di quei modelli culturali patriarcali, basati sul possesso e sulle disuguaglianze di genere, fonte primaria che alimenta violenza, abusi, discriminazioni, vessazioni. Fondamentale è la funzione sociale dei media che devono assicurare una rappresentazione corretta dei cambiamenti culturali in atto. E sollecitarli soprattutto in un’epoca come quella attuale contrassegnata da un sovraccarico di informazioni, messaggi, opinioni, immagini che provengono spesso da fonti non tracciabili ed elaborate da algoritmi sempre più sofisticati ma tutt’altro che affidabili. Uno sconfinato universo di comunicazione governato da intelligenze artificiali che ripropongono e rafforzano gli stereotipi di genere, consegnando una cultura divisiva e iniqua alle nuove generazioni. 

Le nuove sfide

Va riconosciuto che negli anni successivi alla pandemia l’occupazione femminile è complessivamente cresciuta, ma era calata durante la diffusione del virus, tuttavia le donne tendono ancora a essere segregate in attività a basso valore e in impieghi precari, non solo: resta alto il divario tra tasso di occupazione maschile e femminile (- 17%). Una sfida che ci attende, in questa ripartenza ancora lenta è, non solo aumentare la presenza delle donne sul mercato del lavoro, ma anche promuovere un’occupazione più qualificata e ad alto contenuto tecnologico: le ragazze infatti continuano a essere una minoranza dei laureati in materie tecnologiche e scientifiche. Nonostante il mercato incrementi continuamente la domanda di professionalità specialistiche. Una prova è data dalla risicata presenza di donne, circa il 20 per cento, nei team che progettano, sviluppano e addestrano le intelligenze artificiali: una compagine a connotazione fortemente maschile inconsciamente favorisce infatti l’introduzione di pregiudizi che riflettono una specifica prospettiva di genere. Una maggiore rappresentanza femminile tra i professionisti di questo ambito garantirebbe un’attenzione alla diversità e alla parità di genere nel processo di selezione dei dati e di addestramento delle macchine. Il post-Covid ha diffuso l’utilizzo dell’intelligenza artificiale anche nel mondo dell’informazione, tanto che il nuovo Codice deontologico delle giornaliste e dei giornalisti, che entrerà in vigore il prossimo primo giugno, comprende un articolo normativo specifico sul suo utilizzo.

Il sorpasso mancato

Questi ultimi anni post pandemia hanno registrato anche un processo di femminilizzazione di alcune professioni storicamente appannaggio maschile: le donne nella magistratura dal 1963, anno di ammissione ai concorsi della componente femminile, hanno fatto tanta strada, oggi raggiungono il 56 per cento del totale, le avvocate sono a quota 48 per cento, in campo medico svolta storica col sorpasso al 51 per cento delle donne. Controcorrente la professione giornalistica: cala infatti il numero delle donne nelle redazioni, attualmente sono il 42 per cento. Il Covid ha accentuato la precarizzazione del lavoro femminile e, laddove gli editori assumono, seppur ormai raramente, non scelgono le donne. Le giornaliste sono dunque una rappresentanza professionale sempre più ridotta. «Il nostro mondo ha bisogno del partenariato delle donne, della loro leadership e delle loro capacità, così come della loro intuizione e dedizione». È il messaggio di papa Francesco al Women’s Forum G20 Italy, nel 2021, quando cominciavano ad aprirsi spiragli di luce per una ripresa e di speranza di lasciarsi il buio alle spalle: un monito orientato all’inclusione, alle pari opportunità, con l’obiettivo di mettere al centro della ripartenza le donne, che non devono essere cancellate dal racconto quotidiano della Storia. 

Susi Ronchi (presidente Giulia Giornaliste Sardegna) – Articolo apparso su Kalaritana Avvenire del 9 marzo

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