
Mykolaiv, palazzo sventrato da un missile (foto Sir)
La scelta miope dell’economia di guerra.
È delle ultime ore l’annuncio della Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, sulla scelta di impiegare 800 miliardi di euro in spese militari, dopo il diktat del presidente Usa, Donald Trump, di non sostenere più militarmente la Nato, chiedendo ai paesi UE di incrementare le spese militari fino al 5 per cento del PIL.
Una linea che sposa l’economia di guerra e ricatta tutti i Paesi del Vecchio Continente.
«Non si tratta di una scelta – dice Nico Piro, inviato del TG3 ai microfoni di Radio Kalaritana – è una sorta di ricatto politico, nel senso che gli Stati Uniti dicono “Noi non ci occuperemo più della sicurezza”, come se non facessero parte della Nato. “Quindi tocca a voi spendere per il riarmo”.
«In realtà – ha proseguito il giornalista – la corsa al riarmo è già cominciata dopo il 24 febbraio 2022. I Paesi della Nato dovrebbero spendere il 2% del PIL in spese militari, gli Stati Uniti ci chiedono di spendere il 5% del PIL e questo è un punto fondamentale, nel senso che questi soldi da dove escono?».
Il denaro arriva dai bilanci che devono essere in pareggio e quindi vengono sottratti a sanità, scuola, cultura.
«Quando chiamiamo il CUP e ci dicono che la TAC è fra 8 mesi, – evidenzia Piro – stiamo barattando il nostro diritto alla salute con il magnifico carro armato che non si sa dove potremmo mai utilizzare. Il problema vero è che l’Europa è dentro questa logica: piuttosto che tornare alle radici della Costituente europea, al “Manifesto di Ventotene”, a un’Unione che nasce per la pace e la neutralità. Di fatto però i nostri governanti parlano di guerra da preparare, finanziando l’industria bellica».
Ciò che stupisce è la scelta di di togliere le spese militari dal tetto del debito, dai vincoli di bilancio dell’Unione Europea.
«Quello che non si è potuto fare per la sanità, per i servizi sociali, ovvero togliere dai patti di stabilità queste spese per il benessere comune e per salvare vite – evidenzia Nico Piro – riusciamo a farlo per le spese militari, cioè togliamo le spese militari dai tetti sul debito e quindi possiamo tranquillamente comprare carri armati ma non finanziare la sanità».
È certo che una parte degli armamenti verrà testata nei poligoni sardi, così come lo stabilimento presente nell’Iglesiente in un modo o l’altro sarà coinvolto.
«La Sardegna – ricorda il giornalista – è il territorio europeo con il più alto numero di servitù militari e la fabbrica di bombe è localizzata in una delle aree più povere d’Europa: due dati che mostrano come l’industria delle armi e il riarmo arricchisce pochi e non genera benessere. Si tratta di una fabbrica il cui fatturato vola mentre l’Iglesiente è diventato il laboratorio di ricatto occupazionale: i non tantissimi posti di lavoro che lo stabilimento genera non portano ricchezza, come giustamente sottolinea il Comitato che da anni si batte per una riconversione pacifica dell’economia di quell’area. È chiaro che quella fabbrica non ha fatto la differenza in termini di benessere per la zona».
La scelta miope dell’economia di guerra.
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