L’esperienza sinodale in carcere è nata con un invito esplicito fatto ai detenuti all’inizio del Sinodo: formare un gruppo per dare vita alla proposta di papa Francesco di realizzare una consultazione di tutti i cristiani e di quanti lo desiderano sulla vita della Chiesa e la sua missione. La risposta è stata da subito positiva. Fin dalle prime battute ci si è resi conto della grandezza dell’intuizione del Pontefice, racchiusa in quel «tutti», che ha rivestito ciascun carcerato della dignità di figlio di Dio e di membro della Chiesa, chiamato a dare il suo apporto, con le proprie intuizioni e proposte, sulla vita della Chiesa e la sua missione nel mondo.
In carcere a Cagliari-Uta troviamo persone provenienti da diverse parti della Sardegna, del resto d’Italia e tanti stranieri. Anche i membri del gruppo sinodale sono diversi per provenienza, per formazione culturale e con situazioni personali ed esperienze di vita tra le più variegate.
Molti di loro provengono da un’esperienza parrocchiale: hanno frequentato la Chiesa cattolica fino all’adolescenza e poi hanno cominciato dei cammini che lentamente li hanno portati a delinquere.
Altri non avevano mai fatto parte di un gruppo ecclesiale e non avevano mai affrontato tematiche come quelle proposte dal Sinodo.
Eppure, nonostante tutto, è stato possibile iniziare un cammino di fede. Alla domanda su quali esperienze del camminare insieme sono state vissute nella Chiesa, molti hanno risposto ricordando la positiva accoglienza del proprio parroco, gli anni del catechismo, l’ascolto della Parola di Dio, il gruppo di preghiera; altri hanno evidenziato l’ambito del volontariato nel quale sono stati impegnati prima di entrare in carcere.
Per la maggior parte di loro il cammino si è interrotto dopo la cresima.
Altri hanno smesso di frequentare perché «è mancato qualcosa…». «Ho vissuto le mie esperienze in parrocchia da ragazzo, ma crescendo sono cambiate troppe cose nella mia persona…».
Questo «cambiamento », dovuto probabilmente al cammino evolutivo della persona, al contesto socio-culturale in cui viveva, forse non è stato percepito da coloro che, in qualche modo, potevano aiutarlo. Nelle esperienze vissute in ambito ecclesiale, alcuni detenuti ne riconoscono la positività in termini di condivisione di pensieri e fatti vissuti, del non sentirsi soli ma parte di una comunità o di un gruppo, del sentirsi accettati come persone che hanno sbagliato; c’è chi è stato aiutato ad esser più forte e uscire dalla tossicodipendenza, e chi ha ricevuto la speranza di vivere una nuova vita.
Michele, uscendo dal carcere qualche mese fa ha voluto scrivere una lettera al gruppo sinodale: «Cari amici del gruppo sinodale, la mia gioia è immensa ora che sono a casa, ma non vi nascondo il mio dispiacere per non poter più frequentare gli incontri del mercoledì con tutti voi».
«Vorrei nominarvi uno per uno, ma non ricordo il nome di tutti; ma una cosa è certa: non dimenticherò mai il volto di ognuno di voi, e non dimenticherò mai le vostre opinioni ricche di fede, di sincerità e amore che ognuno ha messo a disposizione del gruppo, insegnando a tutti che l’incontro e il confronto sono l’unico modo per costruire un rapporto vero tra le persone».
«Abbiate fede e fatevi coraggio perché fuori dal carcere c’è chi vi aspetta per dare sostegno. Posso dire di essere molto sorpreso dell’accoglienza da parte della società esterna. Quando la notizia della mia scarcerazione ha fatto il giro del paese, vi dico che ho ricevuto tante telefonate di sostegno da parte di persone che non mi rivolgevano la parola da anni».
«Per questo vi dico coraggio! Ci vorrà del tempo ma la luce del Signore risplenderà sul vostro cammino, dando a tutti la forza per poter riprendere in mano la propria vita».
In questa testimonianza si colgono due aspetti fondamentali della pastorale penitenziaria: l’accompagnamento durante la detenzione, del quale fa parte anche l’esperienza del gruppo sinodale, e il reinserimento e l’accoglienza nella propria comunità cristiana e nel proprio paese.
Francesco, un detenuto del gruppo sinodale scarcerato recentemente, con orgoglio ci ha fatto notare che nell’ordinanza di scarcerazione il magistrato di sorveglianza, tra gli aspetti importanti di cambiamento personale, ha evidenziato che durante la detenzione “egli frequenta
con assiduità il Sinodo della Chiesa”. L’esperienza sinodale fatta in carcere diventa un aiuto anche per l’istituzione carceraria che ne riconosce l’apporto positivo nella rieducazione e reinserimento dei carcerati nella società.
Don Gabriele Iiriti- cappellano casa circondariale Cagliari-Uta
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