«Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni» (At 2,32). È la certezza pasquale che dà senso alla nostra preghiera per Papa Francesco, il cui ultimo gesto pubblico è stato annunciare al mondo che Cristo ha vinto la morte. È nella luce di questa vittoria che possiamo guardare anche alla sua morte: con dolore, ma non con angoscia, perché colmi della speranza cristiana, quella che, come lui scriveva, «davanti alla morte, dove tutto sembra finire, riceve la certezza che la vita non è tolta, ma trasformata».
Papa Francesco ha consegnato alla Chiesa italiana un sogno e una responsabilità: «Mi piace una Chiesa inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti (…). Una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza». La sua visione era quella di una Chiesa in cammino, che non si adagia, ma si interroga e si rinnova alla luce del Vangelo, sempre gioiosa per l’incontro vivo con Cristo.
Questa gioia, diceva, non si genera dal nostro attivismo, ma dall’attrattiva della luce di Cristo che illumina ogni notte. E chiedeva a Dio che potessimo averne anche noi, quella letizia capace di illuminare il vivere, di orientare i passi nel cammino della fede.
Il suo magistero ha messo al centro la sinodalità, come forma di una Chiesa in ascolto, attenta allo Spirito che parla nella fede di tutti. Un impulso decisivo, già indicato nel convegno di Firenze e rilanciato dopo la pandemia. Il 25 maggio 2023 incontrò tutti i referenti diocesani e i vescovi italiani: un gesto che confermò quanto tenesse a questo percorso condiviso. La sinodalità, per lui, era segno di una Chiesa che si lascia plasmare dalla comunione.
Ma Francesco ha anche insistito sulla pace: non solo come tema diplomatico, ma come urgenza interiore, offerta di sé con Cristo. La pace nasce dalla giustizia, dal disarmo, dalla lotta alla povertà, e da una fraternità capace di includere tutti. Il suo richiamo alla fiducia, al dialogo e all’amicizia sociale resta un’eredità aperta.
Anche la tutela dei minori è stata per lui un impegno non negoziabile: ha chiesto verità, formazione e fedeltà al Vangelo. Ha lodato la dedizione ai giovani, al volontariato, alle opere di carità. Il suo è stato un invito a non avere paura della verità, ma a camminare nel futuro con coraggio.
Tra le immagini che ci restano, ricordo il primo viaggio del Santo Padre a Cagliari. Nel luglio del 2013 era stato a Lampedusa, e poco dopo, a settembre, venne in Sardegna, portando con sé un affetto speciale per la nostra città, in particolare per la Madonna di Bonaria, che ha un forte legame con Buenos Aires. Quando mi nominò vescovo di Cagliari, il Papa volle parlarmi per condividere con me il suo amore per la patrona massima della Sardegna.
Pregare per il Papa che muore è amare la Chiesa. E noi, nella gratitudine per papa Francesco, adoriamo Cristo, l’unico Pastore. Il volto della Chiesa che ci ha lasciato in eredità è quello di una madre: accogliente.
Giuseppe Baturi
Arcivescovo
Dal numero di Kalaritana Avvenire di domenica 27 aprile
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