I martiri sono testimoni di speranza.
Una riflessione alla luce dell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium. È quella proposta dall’Arcivescovo nella celebrazione dei primi Vespri, alla vigilia della festa di San Saturnino, patrono di Cagliari.
Le parole di monsignor Baturi hanno posto in evidenza il ruolo e il significato del martirio. «La vicenda dei martiri – ha detto – “testimonia” un amore più grande della paura e dell’odio, un amore che è una Persona, un Vivente dalla cui mano nessun potere può strapparci, se solo decidiamo con semplicità di cuore di abbandonarci al suo amore e speriamo dalla sua provvidenza la felicità piena».
«I martiri – ha evidenziato l’Arcivescovo – sono testimoni di speranza, mentre il potere che uccide dimostra solo la paura del futuro». “Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore”,(Rm 8, 37-39), monsignor Baturi cita San Paolo .
«Il martire – ha proseguito – non testimonia se stesso, non muore per le proprie idee, ma testimonia questo amore più grande e la vittoria sulla morte conseguita solo grazie a Colui che ci ha amati, che soffre con noi, con noi vive e muore perché noi possiamo risorgere con Lui. Egli esercita questa forza con un amore al quale possiamo affidarci. Cristo è davvero risorto, questo ci dicono i martiri».
«Se i martiri, e non gli eroi o i guerrieri, sono stati eletti a patroni delle nostre città – ha evidenziato Baturi – è perché questo amore del Signore Risorto custodisce la nostra convivenza, rende possibile il perdono, dà la pazienza infinita per affrontare la quotidiana costruzione delle nostre famiglie e della società, dona la sapienza per stare accanto ai malati e per educare i piccoli, comunica la carità per quel mutuo aiuto in cui è la ragione del nostro stare insieme. Quel che Saturnino continua a testimoniare è la ragione, la forza, la speranza della nostra convivenza».
«Per realizzare la nostra missione di cristiani – ha ricordato Baturi – il punto di partenza non è il “progetto” o l’”obiettivo”, ma lo sguardo di fede capace di scoprire la presenza del Dio che “abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze”».
«La considerazione del credente non può limitarsi ad una analisi della situazione storica, economica e sociologica, magari lamentando il progressivo allentamento dei legami ecclesiali e l’avanzata del processo di secolarizzazione. Il cristiano non teme di operare nel corpo vivo della città, ma è chiamato ad agire lasciandosi guidare da uno sguardo contemplativo che riconosca, una «presenza [che] non deve essere fabbricata, ma scoperta, svelata. Dio non si nasconde a coloro che lo cercano con cuore sincero, sebbene lo facciano a tentoni, in modo impreciso e diffuso”», si legge ancora nell’enciclica.
Per Baturi si tratta di «una presenza che solo la fede può scoprire. Non ci sono allora città o luoghi preclusi al cristiano, poiché Dio lo precede sempre, prendendovi dimora… Non possiamo pensare di incontrare Dio al di fuori del contesto storico e ambientale dove siamo posti, in un mondo astratto di idee, ma propriamente nei luoghi dove Dio ha deciso, per amor nostro, di abitare».
Si legge ancora nella Evangelii Gaudium. «Nella città, l’aspetto religioso è mediato da diversi stili di vita, da costumi associati a un senso del tempo, del territorio e delle relazioni che differisce dallo stile delle popolazioni rurali. Nella vita di ogni giorno i cittadini molte volte lottano per sopravvivere e, in questa lotta, si cela un senso profondo dell’esistenza che di solito implica anche un profondo senso religioso».
Da qui l’invito a tutti. «La comunità cristiana – ha concluso l’Arcivescovo – deve sentirsi responsabile di concorrere a creare un clima di incontro e un orizzonte comune tra persone di diversa cultura e di diversa condizione sociale. Pensiamo all’impatto che ha nelle nostre comunità l’incontro con i fratelli del sud del mondo o dell’est di rito bizantino, con le loro percezioni, i loro riti, le loro espressioni culturali. Possiamo per questo realizzare la comunità cristiana come comunione cattolica, comunione dei credenti «di ogni tribù, lingua, popolo e nazione» (Ap 5,9; 7,9) e dare così un contributo vero al riconoscimento vicendevole e all’incontro dei gruppi che vivono in questa città».
Al termine della celebrazione l’artista Lorenzo d’Andrea ha donato un quadro appositamente realizzato, raffigurante San Saturnino e la basilica, luogo del martirio.
I martiri sono testimoni di speranza. (Foto Carla Picciau)
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