Don Alberto Pistolesi è stato costruttore di ponti Il ricordo del giovane sacerdote, morto tre anni fa

Don Alberto Pistolesi è stato costruttore di ponti

Ci sono incontri che lasciano un segno profondo, momenti che trasformano la vita e la pongono al servizio di qualcosa di più grande.

Per molti ragazzi, quell’incontro si è incarnato nella figura di don Alberto Pistolesi.

Con il suo sorriso contagioso e un’energia fuori dal comune, don Alberto è stato molto più di un sacerdote: un amico, una guida, un costruttore instancabile di ponti tra fede e quotidianità.

Era l’estate del 2006 quando don Alberto, appena 27enne, si presentò all’oratorio del Santissimo Crocifisso a Cagliari, accompagnato dall’allora arcivescovo Giuseppe Mani. Ricordo ancora il suo invito semplice e inaspettato per noi ragazzi: un panino e una birra in un pub.

Un atto che, nella sua leggerezza, inaugurava una relazione autentica.

Da quell’istante, cominciò tutto.

Don Alberto credeva nel potere delle relazioni: ogni attività – dai bivacchi invernali a Monte Genis alle estati a Cala Sinzias, dalle domeniche in oratorio ai grandi progetti comunitari – diventava un’occasione per costruire legami, imparare e crescere insieme.

Nel 2008, un simbolo segnò una svolta decisiva: don Alberto distribuì delle felpe blu con il logo dell’oratorio, un gesto che sancì un senso di appartenenza e responsabilità condivisa.

Le felpe divennero l’emblema di una comunità viva e impegnata.

In poco tempo, l’oratorio passò dall’essere un luogo quasi dimenticato a un centro vibrante di idee.

Le feste e i momenti di condivisione, organizzati dagli animatori con il suo trascinante supporto, coinvolgevano l’intera comunità, riaccendendo il senso di partecipazione.

Giovane e innovativo, seppe conquistare il cuore della gente.

Don Alberto era un sognatore, ma anche molto concreto.

Sapeva valorizzare le differenze, trasformandole in ricchezze.

La sua capacità di leggere nei cuori e di vedere in ogni giovane un potenziale inespresso lo rendeva unico.

Anche dopo il suo trasferimento a Senorbì nel 2010, il legame non si spezzò: telefonate, visite e nuovi progetti continuarono a intrecciarsi.

La distanza geografica non intaccò la profondità dell’amicizia.

Nel 2012, quando venne nominato direttore della Pastorale Giovanile diocesana, mi coinvolse in un’altra avventura entusiasmante.

Furono anni intensi, pieni di sfide e soddisfazioni: giornate diocesane, campi per animatori, Cre Grest.

Ogni esperienza era un tassello di crescita personale e collettiva, un’occasione per trasmettere valori profondi alle nuove generazioni.

La capacità di adattarsi alle situazioni, riempire di significato ogni momento e l’allegria erano il suo peculiare approccio.

Non importava quanto fossero grandi le difficoltà: don Alberto trovava il modo per trasformarle in opportunità.

Aveva il dono straordinario di esserci, sempre, per tutti.

In parrocchia, in oratorio o a scuola, il suo animo restava lo stesso: premuroso, accogliente, capace di rendere ogni incontro speciale.

Ricordo con gratitudine quando, in un periodo complesso della mia vita, mi regalò il libro Oscar e la dama in rosa.

Quel piccolo gesto, carico di significato, mi insegnò a guardare la vita con pazienza, ironia e perseveranza.

Viaggiare con lui era un’esperienza arricchente: da Roma a Londra, ogni meta diventava l’occasione per aprire la mente e scoprire nuovi orizzonti, non solo geografici, ma soprattutto umani e spirituali.

Oggi, il ricordo di don Alberto abita in coloro che hanno avuto il privilegio di conoscerlo.

Le sue parole più care – “Non puoi dare agli altri ciò che tu non hai per primo” e “Chi non si forma, si ferma” – continuano a ispirare le nostre esistenze.

La sua eredità ci spinge a restituire, nel nostro piccolo, quanto abbiamo ricevuto, con la speranza che, al termine del viaggio terreno, si possa incontrarlo di nuovo e sentirgli dire che ne è valsa la pena vivere seguendo il Vangelo, nel suo esempio.

Andrea Marcello

RIPRODUZIONE RISERVATA
© Copyright Kalaritana Media