Dal lunedì al mercoledì di questa settimana si è svolta la sessione primaverile del Consiglio episcopale permanente della CEI. Tra i tanti temi affrontati, i Vescovi hanno posto particolare attenzione alla drammatica situazione internazionale, sentendosi chiamati a esercitare la loro paternità pastorale con uno sguardo di cura e di speranza.
Il tema della pace e il ruolo dell’Europa come risorsa per la riconciliazione sono stati centrali. Preoccupa l’uso crescente di un linguaggio che presenta la guerra come inevitabile, quasi fosse un destino ineluttabile. Al contrario, è essenziale riaffermare che la storia può cambiare e che la pace non è un’utopia, ma una speranza credibile da perseguire con determinazione.
Papa Francesco, nella bolla di indizione del Giubileo, ha ricordato che il primo segno di speranza è proprio la pace. A Bari, in un recente incontro sul Mediterraneo, ha ribadito che la guerra distoglie risorse fondamentali da settori vitali come la famiglia, la sanità e l’istruzione, condannandola come una follia. Sono parole che riecheggiano l’insegnamento di Giovanni XXIII nella “Pacem in Terris”, il cui anniversario è stato recentemente celebrato. Non possiamo rassegnarci alla logica del conflitto.
Tre sono gli aspetti fondamentali da considerare. Il primo riguarda il linguaggio: assistiamo a una crescente polarizzazione, con parole che alimentano ostilità e divisione, confondendo talvolta aggressori e aggrediti. Occorre invece ristabilire la dignità etica della parola, promuovendo espressioni che favoriscano amicizia e pace.
Il secondo punto è il riarmo. Sebbene la sicurezza sia un’esigenza legittima, non possiamo accettare passivamente una corsa agli armamenti che avvantaggia unicamente il mercato bellico. L’appello del Papa per un disarmo equilibrato e generale, volto a destinare risorse alla lotta contro la fame e la povertà, deve essere accolto con responsabilità.
Infine, il terzo elemento è la diplomazia. Il dialogo paziente, anche se lungo e complesso, è sempre la via migliore per comporre le divergenze. Qui emerge il ruolo dell’Europa, che deve riscoprire la propria vocazione originaria: essere uno spazio di convivenza e amicizia tra i popoli, come avvenne nel dopoguerra. Si dice spesso che l’Europa ha perso la sua anima, ma essa non può che risiedere nella tutela della libertà, della giustizia e della solidarietà tra le nazioni. Solo così si potrà costruire un futuro di pace autentica e duratura.
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