Una vita senza trasfusioni per le persone affette da talassemia è possibile? Potrebbe. A confermarlo è stato il dottor Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore della Sanità che durante l’inaugurazione del nuovo anno accademico dell’Università di Cagliari, lo scorso 21 febbraio. ha parlato dei passi in avanti della ricerca di settore negli anni con una prolusione dal titolo “La Cura definitiva della talassemia: un lungo viaggio di scoperte ormai all’approdo”.
Un passo avanti importante
A intervenire su Radio Kalaritana per parlare dell’argomento e non solo è stato Dario Martino, presidente di Ates (Associazione talassemia ed emoglobinopatia Sardegna), associazione attiva nel campo della tutela dei pazienti e della divulgazione.
«Siamo molto attenti a quello che sta accadendo – spiega Martino – Come diceva il Professor Locatelli, stiamo assistendo a una pietra miliare in quello che è la cura delle condizioni con la talassemia. Il problema è che comunque, nonostante noi ci aspettassimo da decenni che finalmente arrivassero, sono arrivate queste terapie che possono veramente curare definitivamente, ma ci sono delle criticità. Prima tra tutti dopo l’approvazione di EMA (European Medicine Agency), adesso Aifa (Agenzia italiana del farmaco) sta ancora processando la presa in carico. Si tratta ovviamente di passaggi molto delicati anche a livello di budget e di distribuzione, c’è tutta una trafila tecnica da rispettare. In Sardegna – continua Martino – avremo sicuramente un nostro centro dedicato, anche perché abbiamo una tradizione più alta a livello internazionale. Aspettiamo che Aifa faccia tutte le dovute valutazioni, noi osserviamo e interagiamo sulle parti regolatorie».
Passi precedenti e problematiche attuali
La Sardegna conta circa 1500 pazienti nelle condizioni più severe che potrebbero essere interessate dalle novità in campo scientifico, su un totale di circa 6-7mila pazienti a livello nazionale. I passi avanti compiuti sono però stati possibili attraverso quelle innovazioni, a partire dalle terapie trasfusionali che hanno contribuito ad allungare la vita dei pazienti.
«Il gene editing per noi è una rivoluzione, però non bisogna dimenticare quelle che sono le terapie di routine e che ci consentono di arrivare fino a queste possibilità – afferma il presidente di Ates -Questa terapia innovativa sarà per pochi inizialmente, anche perché si tratta di un trattamento pesante perché la prima parte è comune a quella del trapianto classico. Al di là delle novità positive, vanno ricordati alcuni malfunzionamenti, non solo propri del territorio sardo, come la carenza di sangue e dunque di emocomponenti. Ci sono degli aspetti su cui andrebbe fatta maggiore attenzione e che ci consentono di fare una vita dignitosa. A questo, inoltre, si aggiunge anche una situazione internazionale di instabilità che si ripercuote sulle regolamentazioni sulle SoHO (Substance of Human Origin) e di conseguenza – conclude Martino – sull’innovazione terapeutica».
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