Carcere di Uta, un progetto per il futuro delle famiglie dei detenuti "Liberi dentro per crescere fuori" sostiene genitori e figli attraverso percorsi educativi e di reinserimento sociale

 

Un’iniziativa multidisciplinare che nasce all’interno della Casa circondariale di Uta per supportare i detenuti nel loro ruolo genitoriale e favorire un futuro migliore per loro e le loro famiglie. Leggi l’articolo apparso su Kalaritana Avvenire del 23 febbraio.


Un’azione multidisciplinare e partecipata che parta dal carcere ma guardi già al fuori, per garantire un futuro ai genitori detenuti e/o destinatari di misura alternativa, ai loro figli e alle famiglie.
È il progetto “Liberi dentro per crescere fuori”, selezionato dall’Impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile in riferimento al bando nazionale “Liberi di crescere”.

Le realtà

Le iniziative sono portate avanti nella Casa circondariale di Uta “Ettore Scalas” dalla Cooperativa Elan (capofila) insieme ad altre realtà tra cui Panta Rei Sardegna, Solidarietà Consorzio, la Cooperativa Exmè (che fa parte del Consorzio Domus de Luna), le associazioni Prohairesis e Aragorn Srl., l’Ufficio interdistrettuale di esecuzione penale esterna (UIEPE), e altre realtà territoriali e del terzo settore, in rete con i servizi sociali e le altre istituzioni.

Tra azione e obiettivi

Interventi fuori e dentro il carcere, che mirano a ridare fiducia, speranza, a ricostruire reti e una comunità capace di riaccogliere queste persone una volta scontata la loro pena.
Dentro il carcere si porta avanti «un’azione di ascolto – spiega Elenia Carrus, vicepresidente della cooperativa Elan e responsabile del progetto – attraverso uno sportello psicologico di gruppo, con l’obiettivo di supportare i papà (e in futuro anche le mamme) nel loro ruolo genitoriale. Il primo incontro si è svolto il mese scorso e ha coinvolto 16 detenuti divisi in due gruppi, con il sostegno della psicologa». Oltre all’ascolto, «interventi multidisciplinari personalizzati rivolti ai minori ma anche all’intero nucleo familiare, sia all’interno che all’esterno del carcere, questi ultimi con particolare attenzione al contrasto della povertà educativa». L’obiettivo è cercare di «favorire un sano processo di crescita dei minori e potenziare il loro legame affettivo, uno dei bisogni osservati ed emergenti». Un progetto quadriennale nell’ambito del quale si prevede di coinvolgere almeno 20 minori l’anno, oltre che 10 nuclei familiari, per un totale di almeno 90 destinatari diretti (figli minorenni e genitori), e realizzare trenta percorsi di progettazione familiare partecipata.

I patti educativi

Tra le linee di intervento i “patti educativi partecipati”, grazie a una équipe multidisciplinare con l’obiettivo di superare la povertà educativa: «Progettiamo direttamente i percorsi con le famiglie dei detenuti o di chi è in misura alternativa – spiega Bianca Ingletto direttrice operativa e amministratrice di Panta Rei Sardegna-, attraverso una metodologia relazionale partecipativa. Condividiamo con loro le preoccupazioni, si lavora insieme sulle motivazioni al cambiamento». Grazie a questi percorsi, «cerchiamo di accompagnare e promuovere i talenti dei bambini – continua – sostenendo varie attività, tra cui quelle sportive e di socializzazione, per accompagnarli in una crescita serena. Inoltre, portiamo avanti un’azione di supporto e affiancamento alle famiglie nel loro percorso di genitorialità». Si mira alla «ricostruzione dei legami e delle reti di solidarietà, per rinforzarli là dove sono stati compromessi, in modo da preparare la comunità a riaccogliere queste persone». Oltre a ciò, l’attivazione di tirocini di inclusione socio-lavorativa per i papà detenuti, nella lavanderia creata nella Casa circondariale dalla Cooperativa Elan, da anni impegnata nel settore carcere. Proprio qui, agli inizi di febbraio ha iniziato il suo tirocinio il primo papà detenuto, grazie alla rete con l’area educativa del carcere.

Maria Chiara Cugusi

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