venerdì santo

Scravamentu, la Sardegna rinnova la memoria viva della Passione di Cristo I riti del Venerdì Santo uniscono pietà popolare e teatralità sacra, rendendo presente il mistero della redenzione

La corona di spine

Tra le espressioni più intense della pietà popolare in Sardegna, la celebrazione del Venerdì Santo si distingue per la forte partecipazione emotiva e rituale dei fedeli. La tradizione di proclamare il racconto evangelico della Passione a più voci – distinguendo i ruoli di Gesù, del narratore e del popolo – ha costituito, sin dal medioevo, una delle forme più efficaci di interiorizzazione del mistero della redenzione.

Il coinvolgimento diretto nella lettura corale ha presto generato una vera e propria teatralizzazione dei momenti centrali del Triduo Pasquale. Nascono così le sacre rappresentazioni, che trasformano i racconti della Passione in scene drammatiche, dense di pathos e spiritualità. Al centro di queste liturgie “recitate”, un simulacro di Cristo a grandezza naturale, dotato di braccia snodabili, diventa fulcro visivo ed emotivo delle celebrazioni.

Due i momenti simbolici più noti e partecipati: Incravamentu e Scravamentu. Nel primo, il simulacro viene inchiodato alla croce ed elevato sull’altare maggiore; nel secondo, dopo un tempo di attesa che rievoca le ore dell’agonia, viene deposto in una lettiga-processionale, simbolo del sepolcro. Questi riti, ancora oggi presenti in quasi tutte le parrocchie dell’isola, si caratterizzano per una solennità carica di devozione e per la forza con cui riescono a rendere viva la Passione di Cristo nel cuore dei fedeli.

Attraverso gesti, silenzi e parole che si ripetono da secoli, la Sardegna continua così a rinnovare la sua adesione al mistero pasquale, mantenendo viva una tradizione che unisce sacro e comunità, memoria e fede vissuta.