Donare il sangue significa salvare vite. Un gesto gratuito e solidale, che però in Sardegna assume un significato ancora più urgente, a causa di una cronica carenza di scorte e di un’alta incidenza di talassemici, che necessitano di trasfusioni frequenti.
Un pilastro del bene comune
In questo contesto, il valore del dono diventa non solo un atto di generosità, ma un pilastro del bene comune. Ne sono ben consapevoli realtà associative come Fidas Domusnovas e Avis Cagliari, che operano con costanza e passione per sensibilizzare la popolazione alla cultura della donazione. Gianluigi Loi, storico volontario e fondatore della sezione Fidas Domusnovas, racconta: «l’associazione nasce nel 2002 grazie alla volontà di un gruppo di ragazzi. Io, emigrato sardo a Milano, tornato in ferie, ho condiviso questa idea con alcuni giovani del paese. Così abbiamo dato vita alla nostra realtà, con il sostegno anche del parroco don Frongia, che firmò lo statuto insieme a noi». Oggi l’associazione conta circa 170 donatori attivi e 270 soci totali, e continua a operare nelle scuole e sul territorio. «Il 5 aprile incontreremo gli studenti per parlare di talassemia, mentre venerdì 11 faremo una raccolta nella piazza Matteotti in paese. Donare è un gesto che fa bene anche a chi lo compie: ci rinnova, ci controlla la salute e può persino salvare chi dona. A me ad esempio il centro trasfusionale ha scoperto un problema, e da lì è partito tutto per curarmi».
Novant’anni di donazioni
La testimonianza di Gianluigi si intreccia con quella di Ignazio Zuddas, presidente comunale di Avis Cagliari, che lo scorso anno ha celebrato i 90 anni di attività. «Siamo nati nel 1934 e oggi siamo molto attivi nelle scuole, dove svolgiamo conferenze di sensibilizzazione anche con borse di studio per chi dona e ottiene buoni risultati scolastici. È importante coinvolgere i giovani nella cittadinanza attiva, farli sentire partecipi dei problemi del territorio». Zuddas sottolinea come il fabbisogno regionale sia ancora lontano dall’autosufficienza: «la Sardegna ha bisogno di 110 mila sacche di sangue all’anno, ma ne raccogliamo solo 80mila. Le restanti 30 mila arrivano da altre regioni. Questo significa che siamo sempre in una condizione di bisogno costante, anche se non sempre definita emergenza». La carenza di sangue ha impatti diretti sulla vita delle persone e i giovani sono abbastanza attenti su questo fronte. «Il sangue è un farmaco salvavita – prosegue – che non può essere riprodotto. Senza scorte adeguate, anche gli interventi chirurgici possono essere rimandati o sospesi. Se mancano le sacche, la sala operatoria non si apre. Sono tante le iniziative che stiamo articolando, relativamente anche a conferenze che teniamo presso le scuole superiori ma anche presso le scuole primarie, sensibilizzando appunto i ragazzi che sono in età per donare. Ricordo – aggiunge – che per poter donare il sangue occorre essere maggiorenni e avere certamente alcuni requisiti che riguardano la salute e il peso, è infatti necessario pesare almeno 50 kg».
Un chiaro appello
L’appello di Avis e Fidas è chiaro. Se tutti donassero almeno due volte all’anno, saremmo vicini all’autosufficienza. Questo migliorerebbe il sistema sanitario regionale e salverebbe più vite. Una sfida che passa dalla consapevolezza e dalla responsabilità individuale. Perché donare il sangue è, prima di tutto, un atto d’amore e solidarietà.
Maria Luisa Secchi (Articolo apparso sul Kalaritana Avvenire del 29 marzo)
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